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Jacopo Petrucci

Programma del concerto

C. Debussy

 Deux Arabesques L. 66

C. Debussy

Images I

I. Albéniz

El Albaicín

B. Bartók

Sonata Sz. 80

Biografia

Inizia lo studio del pianoforte all’età di 7 anni con il M° Mara Morelli presso il Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila dove consegue nel 2017 il diploma di Vecchio Ordinamento con la votazione di 10 e lode e menzione d’onore nella classe del M° Orazio Maione.
Tra il 2017 e il 2020 frequenta i corsi di perfezionamento della Scuola di Musica di Fiesole sotto la guida del M° Andrea Lucchesini e nel 2023 ottiene il prestigioso diploma dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nella classe del M° Benedetto Lupo.

Collabora stabilmente con l’istituzione romana come componente dell’Ensemble Novecento e del PMCE nonché come collaboratore con le classi dei Mi Ivan Fedele e Michelangelo Lupone, impegnandosi in produzioni orchestrali, solistiche e cameristiche.
Nell’ambito della sua carriera concertistica, può già vantare esibizioni per importanti istituzioni lungo tutto il territorio nazionale. Musicista dal vasto repertorio, favorisce la divulgazione del repertorio del Novecento e Contemporaneo e ha già curato in prima persona le prime esecuzioni di emergenti compositori europei: K. Roth, K. Denner, P. Punzo, D. Scia.

Insieme agli studi pianistici affronta anche lo studio della composizione, laureandosi con il massimo dei voti nel febbraio 2022 nella classe della Ma Mariella Di Giovannantonio con la tesi “Panopticon, per orchestra sinfonica”.
Frequenta attualmente il biennio specialistico nella classe del M° Marco Della Sciucca, seguendo al contempo le lezioni dei compositori Vittorio Montalti e Davide Remigio.
Sia come pianista che come compositore è vincitore di diversi premi internazionali. Dedito inoltre alla promozione del patrimonio artistico, dal 2020 è nel direttivo del Progetto Syntagma, realtà musicale nata nella città dell’Aquila per proporsi come “officina culturale” nella realizzazione di importanti proposte concertistiche: dal duo all’orchestra, dal Barocco alla Contemporanea.

Prima assoluta

Gabriele Rubeo: Perpetuum mobile

Nato a Roma il 13 marzo 1996, inizia lo studio del pianoforte all’età di 6 anni. Viene ammesso al Conservatorio Santa Cecilia di Roma all’età di 11 anni, dove inizia il suo percorso di formazione nel Vecchio Ordinamento accademico sotto la guida del M° Aldo Tramma. Questi rimane per lui figura di riferimento musicale e spirituale per tutta la sua formazione. Consegue il Diploma in Pianoforte nel 2019 con il massimo dei voti nella classe del M° Maria Laura Proietti Salvatori. Si specializza frequentando corsi di perfezionamento con Daniel Rivera e Leonid Margarius, con il quale frequenta un corso annuale nell’Accademia Napolinova a Napoli nell’a.a. 2019 – 2020. Scopre la sua inclinazione per la composizione musicale fin da piccolo scrivendo i suoi primi brani. A 19 anni inizia il suo percorso di composizione con il M°Alessandro Cusatelli, il quale sarà anch’egli un importante riferimento musicale da lì in avanti. Viene ammesso nel 2020 al corso di Biennio in Composizione presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma nella classe del M° Cusatelli. Sta concludendo gli studi nella classe del M° Ferdinando Nazzaro. Attualmente lavora come docente di pianoforte e armonia e come pianista accompagnatore di cantanti e strumentisti. Come autore ha una particolare predilezione per la ricerca nel repertorio vocale e operistico.

Gli artisti

La musica è sempre inmoto perpetuo: il pianoforte e le sue evoluzioni tra il Novecento e la musica di oggi. A dialogo con Jacopo Petrucci.

Intervista a cura di Valerio Sebastiani

Il programmache hai scelto e in cui sarai impegnato per il concerto di questo secondo appuntamento di Suoni Oltre Confine, è una galleria novecentesca con dei veri e propri pezzi da novanta del pianismo Europeo. Inizierei da Debussy, di cui proponi una celebre composizione giovanile Deux Arabesques del 1888 e i più avanzati quadri della prima serie di Images(1905-1908). Entrambe le composizioni giocano, oltre che con un raffinato virtuosismo pianistico, con il concetto di immagine trasposta in musica. Come?

Ho scelto di iniziare con Debussy perché lui apre le porte del modernismo alla musica. Mentre in Russia la porta è stata letteralmente sfondata da Stravinskij partendo dalle tradizioni folcloriche, con sonorità molto pungenti, Debussy fa una rivoluzione “gentile”, in silenzio, dove il silenzio è parte costitutiva della musica. Il suo “parlare per immagini” secondo me si ottiene attraverso allusioni. Ciò che trovo affascinante in Debussy è che non procede mai per immagini didascaliche, troppo definite, ma con suggerimenti molto raffinati. È tutto molto sfaccettato e qualunque successione di note può creare tantissime immagini diverse, anche in campi semantici opposti. Basta vedere i Deux Arabesques, dove l’idea generativa è l’arabesco, la decorazione, ma la resa in musica, con tutte le emozioni che ne derivano, è molto differenziata. In Images è interessante vedere come Debussy si rivolga alla tradizione musicale francese, con l’omaggio a Rameau del secondo pezzo di Images, che integra gli stilemi del barocco francese in un’atmosfera innovativa.

È noto l’entusiasmo che i compositori del Secondo Novecento nutrivano nei confronti di Claude Debussy. Cito Pierre Boulez per esempio: «Estampes (1903), Masques e L'isle joyeuse (1904), i due quaderni di Images (1905-908) segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica in Debussy (…). Periodo estremamente brillante nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione delle risorse del pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del colore. Con questa serie di raccolte inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento (…). Queste serie di pezzi per pianoforte, scritte fra il 1902 e il 1908, sono dei monumenti della letteratura pianistica: è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né che un pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono». Tu che sei un giovane compositore, oltre che pianista, cosa ravvedi nelle pagine pianistiche di Debussy?

È un punto di confronto continuo per chi accetti la sfida di scrivere per pianoforte – e lo dico appunto da pianista e da compositore! Ritengo che scrivere per pianoforte sia una sfida molto coinvolgente, proprio perché c’è una letteratura legata al modernismo del Novecento che ha un peso molto imponente. Debussy è proprio uno di quei autori che si sono spinti più in avanti per evolvere le possibilità timbriche del pianoforte ed esplorare tutti i limiti dello strumento. Basta vedere l’ultimo dei tre pezzi di Images I,Mouvement, con il suo vertiginoso motoperpetuo che, nonostante il senso di continua metamorfosi sonora, crea una sorta di stasi e di atmosfera sospesa…

Dato che hai nominato il moto perpetuo non si può non pensare alla prima assoluta di un giovanissimo compositore italiano, Gabriele Rubeo, che eseguirai questa sera: il suo Perpetuum Mobile.

Esatto! L’inserimento del brano di Gabriele in questi punto non è assolutamente casuale. Innanzitutto per le sue qualità timbriche, che si avvicinano man mano che il brano procede, sempre di più a caratteristiche orchestrali, con sonorità molto sfaccettate. Questa è una qualità generale dell’intero programma della serata: in Debussy si sentono sonorità relative agli strumenti ad arco, alle percussioni indonesiane, al Gamelan ovviamente, mentre in Albéniz possiamo riscontrare un tipo di suono che ricorda molto il pizzicato delle chitarre e, ovviamente, in Bartók c’è tutto l’armamentario delle percussioni con tutta la loro imponenza. Il pubblico che sarà venuto ad ascoltare un concerto per pianoforte solo rimarrà sicuramente sconcertato! Perpetuum Mobile di Gabriele oltre a collegarsi molto bene al moto perpetuo di Debussy, suggerisce proprio una graduale metamorfosi da una scrittura per tastiere a un’orchestrazione più d’impatto e mi sembra anticipi molto bene gli aspetti ritmici della fine del programma. Poi devo dire che in questo pezzo è sorprendente il trattamento che si fa del moto perpetuo in sé. Normalmente è un effetto che si riesce a ottenere costruendo un edificio sonoro, partendo magari dal pianissimo per far poi esplodere la sonorità, ma gradualmente. In questo caso troviamo una forma molto particolare: il suono inizia in medias res, nel pieno dell’azione sonora, come se conoscessimo già quello che è accaduto prima, poi regredisce su sé stesso, affronta un momento di incertezza più lirica, per poi riprendersi ed esplodere verso il finale. È una forma molto particolare, che sicuramente coinvolgerà molto il pubblico.

Torniamo ai tempi di Debussy, con la Suite per pianoforte Iberia, composta dallo spagnolo Isaac Albéniz, di cui tu suonerai il primo brano del Libro 3, El Albaicin, un affresco sonoro, notturno, del quartiere gitano di Granada. Cosa trovi di affascinante in questo brano?

La musica di Albéniz colpisce molto per la sua capacità di essere permeabile a diverse esperienze musicali. Si respira il modernismo d’avanguardia della Parigi dei primi del Novecento, ma anche un’adesione molto intima con le sonorità del suo paese di provenienza, la Spagna. Albéniz è un maestro nel far convivere queste diverse anime della sua personalità, innovazione e spirito folcloristico, e nel creare questi affreschi sonori che al tempo furono una vera e propria ventata di novità per la musica occidentale. Basti pensare questa particolarità: all’inizio del Novecento hanno iniziato ad imporsi compositori che venivano dai margini dell’Europa, come Albèniz, Stravinskij, e non più dal centro. In questo sta il vero spirito cosmopolita della Parigi di quegli anni, che si riflette anche in compositori come Ravel, che in quegli anni usciva con un’altra raccolta pianistica rivoluzionaria, ovvero Miroirs.

L’elemento folcloristico che si può ravvedere in Albéniz, è palese anche in Bartók e nella sua Sonata per pianoforte scritta nel 1926, un anno molto ricco per la produzione pianistica bartókiana – invito gli ascoltatori ad approfondire brani come i Primo Concerto per pianoforte e orchestra e la magica Suite "Szabadban" («All'aria aperta»). È curioso l’impiego della forma romantica della Sonata, rievocata all’interno di un linguaggio pienamente all’avanguardia. Come si trasforma sotto le mani di Bartók questa memoria di tradizione europea?

La scrittura pianistica di Bartók in questo brano è portata così alle estreme conseguenze che della forma Sonata, quindi tutto il suo apparato di elaborazione e sviluppo motivico, non rimane che uno scheletro. Oltre alla tradizione musicale ungherese, su cui la Sonata sicuramente è strutturata, si percepisce un generale senso di desolazione che deriva dall’esperienza della Prima guerra mondiale terminata da pochi anni e che è un anticipo spettrale dei grandi stravolgimenti che l’Europa avrebbe vissuto di lì a poco. Questo soprattutto nel Secondo movimento, con le sue linee di canto molto lontane, estremamente lunghe.

 

 

Libri che suonano: consigli di lettura

Su Debussy
Enzo Restagno, Claude Debussy. Ovunque lontano dal mondo, Milano, il Saggiatore, 2021

Su Albéniz
Walter Aaron Clark, Isaac Albéniz: Portrait of a Romantic, Oxford, Oxford University Press, 1999

Su Bartók
Massimo Mila,L’arte di Béla Bartók, Torino, Einaudi, 1997
Maria Grazia Sità, Béla Bartók, Palermo, L’Epos, 2008

Sul Novecento musicale
Alex Ross, Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, Milano, Bompiani, 2007 (ultima ed. 2023)